Solcato in fuga a vele spiegate il mare profondo,
Attis correndo raggiunse d'impeto il bosco frigio
e in mezzo alla foresta i luoghi oscuri della dea;
fuori di sÈ, in preda a una furia rabbiosa,
si recise il sesso con una pietra aguzza.
Sent“ cos’ ogni forza d'uomo sfuggirgli dal corpo
(goccia a goccia il suo sangue bagnava la terra);
strinse nelle mani candide il piccolo tamburo
di Cibele (il tuo tamburo, dei tuoi misteri, madre)
e battendo con dita delicate la sua pelle
in un tremito si rivolse alle compagne:
'Venite, Galle, venite tra i boschi di Cibele,
venite tutte, gregge errante della dea di Dindimo:
cercando esuli terre lontane, al mio comando
per seguirmi vi siete affidate, voi mie compagne,
che avete sfidato la furia rabbiosa del mare
e per orrore di Venere vi siete evirate,
rallegrate di corse pazze il cuore della dea.
No, no, nessun indugio, venite tutte, seguitemi
alla casa frigia di Cibele, alle sue foreste,
dove rombano i tamburi, dove squillano i cembali,
dove risuonano cupe le melodie del flauto,
dove, cinte d'edera, si dimenano le Mènadi,
dove con acute grida si celebrano i riti,
dove svolazza l'orda vagabonda della dea:
lá con le nostre danze impetuose dobbiamo andare'.
Il canto di Attis ermafrodito alle compagne
provoca nella schiera un urlo scomposto di voci,
brontolano i tamburi, strepitano i cembali,
e corrono tutte al verde Ida come impazzite.
Perduta in un delirio se ne va Attis affannata,
guidandole tra boschi oscuri al suono del tamburo,
come una giovenca selvaggia che rifiuti il giogo:
dietro la sua furia si precipitano le Galle.
Raggiunto il tempio di Cibele cadono sfinite
e morte di fatica si addormentano digiune.
Languidamente un torpore suggella i loro occhi
e spegne nel sonno la furia rabbiosa del cuore.
Ma quando i raggi dorati del sole si diffusero
nell'alba livida sulla terra e il mare in tempesta,
diradando in un baleno le ombre della notte,
Attis si scuote e il sonno veloce s'allontana
fuggendo tra le braccia impazienti di Pasitea.
Svanito nelle nebbie del riposo il suo furore,
Attis rimugina in cuore ci˜ che aveva fatto
e a mente fredda comprende come s'era ridotto:
con l'animo in tumulto allora ritorna alla spiaggia.
E guardando il mare immenso, gli occhi pieni di lacrime,
con voce affranta si rivolge in pianto alla sua terra:
'Patria che m'hai creato, patria che m'hai generato,
come uno schiavo dannato che fugge dal padrone
t'ho abbandonato fuggendo ai boschi dell'Ida
per vivere tra la neve, in tane di belve
cacciandomi furiosa in ogni loro covo:
dove, dove potr˜ cercarti, patria mia?
Verso di te corrono gli occhi a volgere lo sguardo
se per un attimo questa rabbia mi dá respiro.
E dovr˜ dunque vivere in questi luoghi sperduti,
senza più casa patria beni amici genitori,
senza più fori palestre stadi e ginnasi?
Maledetta, lamentati piangi, anima mia.
Non c'è un aspetto che io, io non abbia assunto: donna,
uomo, giovinetto, ragazzo, tutto sono stato,
il fiore dei ginnasi, la gloria delle palestre.
Il calore della gente riempiva la mia casa
e quando al sorgere del sole lasciavo il mio letto
tutte le stanze erano ornate di fiori. Ora,
ordinata schiava di Cibele, questo sar˜,
una Mènade, un rottame d'uomo, un eunuco
che vive tra le nevi gelide del verde Ida.
E trasciner˜ la vita sui monti della Frigia
tra cerve di foresta e cinghiali selvatici.
E piango, piango, mi dispero: non l'avessi fatto'.
Quando il grido sfuggitogli dalle labbra di rosa
giunse alle orecchie degli dei come una folgore,
subito sciolse Cibele i suoi leoni, aizzando
quello alla sua sinistra, quel predatore d'agnelli:
'Via, gettati contro di lui, che senta il tuo furore,
che costretto dalla tua furia ritorni nei boschi,
quello sciocco che sogna di sfuggire al mio potere.
Via, sfèrzati il dorso con la coda, battiti, battiti,
che tutta la terra sia assordata dal tuo ruggito,
atterrita dal fiammeggiare della tua criniera'.
Dopo le minacce Cibele libera la belva
e quella fulminea, scatenando la sua ferocia,
si getta alla caccia, ruggisce, fa strage di piante.
Giunta sulla riva umida e bianca della spiaggia
scorge il tenero Attis nel riverbero del mare
e scatta: quello impazzito fugge nella foresta.
L’ schiava rimase per tutto il resto della vita.
O dea, dea grande, dea Cibele, dea di D’ndimo,
signora, allontana dalla mia casa il tuo furore:
scatena altri ai tuoi deliri, altri alla tua rabbia.